SENZA TITOLO - Claudio Fazio

CLAUDIO FAZIO
senza titolo, 1982

a cura di Antonio Capaccio
con un testo di Carola Susani

Da mercoledì 16 dicembre 2015 fino a giovedì 31 marzo 2016 la Vetrina di BRECCE espone due opere di Claudio Fazio, del 1982 e mai presentate in pubblico fino a ora. La mostra è accompagnata da testi in catalogo di Carola Susani e Antonio Capaccio.

Due caverne, insieme scabre e lucenti, ognuna delle caverne ha un’apertura, l’apertura non è un balcone, non si spalanca, ha anfratti, schermi, opacità, trasparenze. Nel mito della caverna di Platone la verità è fuori e i prigionieri incatenati dall’infanzia non scorgono che ombre e alle ombre attribuiscono realtà e consistenza. Ma noi siamo qui di fronte alle caverne di Claudio Fazio, all’aperto. Ci sporgiamo verso l’interno della caverna. Allora forse il segreto, la verità è all’interno? è celata nel profondo? Forse non è neanche questo. Forse il segreto non è dentro e non è fuori, piuttosto è nell’apertura, nella finestra che li rivela l’uno all’altro. Il segreto è nella intuizione del diaframma e dunque della doppiezza. Il lavoro di Claudio Fazio – ma anche la vita di Claudio che è stata non poca parte del suo lavoro - è un lavoro sul sacro che è capace di investire gli oggetti della vita quotidiana e di sottrarli all’usura e all’ovvietà. Tutte le volte che mi sporgo sull’opera di Claudio mi viene in mente un verso di Beppe Salvia, il verso fa così: "sembra d'aver/un'altra casa, d'ombra, e nella vita un'altra vita, eterna". Questa vita eterna che ci accompagna muta, che ci provoca e ci fa sempre irrequieti, e che quando per un momento squassa la corruttibilità della vita quotidiana, in cambio ci restituisce l’eternità invivibile inviolata che pure è sempre lì, nel nostro stare al mondo. Non è una casa dove vivere, ma neanche l’ovvietà del quotidiano lo è. Non ci basta. C’è un solo luogo dove è possibile annidarsi, quello che li separa e che li tiene insieme, è la finestra sgarrupata e sporca. Almeno, questo mi sembra ci ricordi Claudio Fazio: possiamo abitare un davanzale stretto (Carola Susani)

 Già dai titoli dei suoi lavori Claudio richiama spesso chiavi dicotomiche – 'Via Crucis o più semplicemente portacandele', 'Clessidra o diapason', 'Crocerossa e Mezzaluna rossa' – cercando il contatto fra zone di senso diverse ma straordinariamente correlate. È una sorta d'immaginazione paradigmatica quella che guida il suo operare, che vede e connette i segni come in prospettiva, quasi di profilo, in un gioco di distanze e relazioni, verso una riduzione a verità che è sempre il nodo fra due diverse verità. Restando in bilico, sul confine che unisce e nello stesso tempo distingue, in un'allusione costante a un'idea di passaggio, guado fra mondi: quello, possiamo dire, del visibile e quello dell'invisibile, oppure quello povero e disperso di un quotidiano quasi senza Dio che si specchia invece nell'incorrotta sacralità di un inaccessibile temenos: 'Croce rossa e Mezzaluna rossa' – un progetto del 2001 – non sono più simboli contrapposti ma una sola pietas, cinta in due nicchie affiancate nella parete. Celare, proteggere, salvaguardare, accogliere in conca, e insieme scovare un varco, dischiudere, evidenza e nascondimento, tutto in un gesto, in un'unica cifra formale. Con un fare così determinato e ostinato – anche se raccolto in gesti minimi, semplici – da divenire una richiesta decisa, quasi imperiosa, verso lo spettatore, a guardare, veramente, assumendo ognuno su di sé tutta la responsabilità del proprio sguardo.

In un lavoro degli anni Ottanta, il profilo di una scarna scala scavata nel muro ci conduce a una porta intagliata, nella maniera didascalica che Claudio a volte sapeva mettere in scena: vediamo la minuscola porta, chiusa davanti a un aldilà appena oltre, e siamo noi, lì, saliti con lo sguardo gli ultimi gradini, piccoli Truman davanti alla soglia. Ora tocca a noi compiere l'ultimo passo, è il nostro momento, la nostra opportunità, dobbiamo dare il campo a un sentimento puro e quasi infantile che ciò che abbiamo davanti agli occhi ci aiuta a ritrovare. È quello che stavamo cercando? una sete di cose sconosciute, infinite, da scoprire, riunite come in un nido, e che soltanto l'intensità del nostro sentire può rendere vere. (Antonio Capaccio)

 
Claudio Fazio (Catania 1953-2014) ha vissuto e lavorato dai primi anni Settanta a Roma. Ha partecipato alla gestione della Galleria La Stanza (Roma, 1976-1978). Ha esposto, tra l'altro, alla Quadriennale di Roma (1975), al Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea dell'Università La Sapienza, Museo Sperimentale d'Arte Contemporanea (L'Aquila), Galleria Civica (Termoli), Palazzo delle Esposizioni (Roma), galleria Melari, Empiria, Bha Art, AAM, Sala I (Roma), La Cappella (Trieste), Artificialia (Steyl) Galerie im Burggarten (Rothenburg). 
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